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Sembra un caso

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Sembra un caso, un pura coincidenza, la ricerca sugli adolescenti apparsa su La Repubblica del 5 agosto, nella quale si racconta del coinvolgimento dei ragazzi nelle attività di gioco d’azzardo più o meno legalizzate, mentre proprio in questi giorni A.G.A.V.E. sta incontrando persone intenzionate a tentare ogni sforzo per migliorare la qualità della vita dei giovani in una remota periferia romana.

“Qui non c’è nulla, né per i giovani, né per gli adulti”, raccontava la donna, una professionista, dipendente del Ministero di Grazia e Giustizia, madre di tre figli vissuti buona parte della loro vita in quella zona. “Le uniche novità, in quattordici anni, sono i centri per le scommesse di ogni tipo, anche poco lontano dalle scuole…”.

Il binomio che coniuga una bassa qualità della vita, del pensiero e culturale con le attività di gioco d’azzardo e scommesse non è cosa nuova ed è sotto gli occhi di tutti come la crisi economica di questi ultimi anni abbia incentivato il consumo di “gratta e vinci” e similari, la partecipazione ai giochi d’azzardo legalizzati, lotterie comprese, contro ogni buon senso (sono innumerevoli ormai le dimostrazioni che nelle lotterie di ogni tipo vince solo il banco), così come è evidente l’amplificazione esponenziale dell’offerta (giochi che non promettono solo premi in denaro ma vacanze per tutta la vita, abitazioni e altro ancora). Ma l’inchiesta di Repubblica si concentra sugli adolescenti e sulle motivazioni che essi esprimono quando entrano nel “vortice” del gioco d’azzardo. Tra esse, la voglia di diventare “grandi”, la trasgressione, la noia o, semplicemente, l’esigenza di stare con gli amici.

Di chi la responsabilità? Spesso, indica la ricerca, sono gli amici o i genitori ad introdurre i giovani al gioco d’azzardo, ma noi pensiamo che una responsabilità maggiore vada attribuita alle istituzioni, sia locali sia centrali, che non costruiscono “occasioni” alternative per gli adolescenti e le forti esigenze che essi hanno di esprimersi e condividere, con le compagne ed i compagni, esperienze, punti di vista, emozioni.

Il bisogno, in parte fisiologico, di diventare grandi o dimostrare di esserlo attraverso esperienze ritenute ”proibite” ai giovani, diventa l’unica via d’uscita da una condizione, l’essere giovani appunto, che per questa società non ha alcun valore, né possibilità.

Allora il ragazzo dal percorso umano e scolastico burrascoso che vince diecimila euro a Texas Hold’em diventa una specie di eroe per i compagni, perché è “riuscito”, nonostante le avversità della vita, e l’appuntamento per una chiacchierata o una birretta ai video poker diventa una tappa fissa della giornata se la bisca è l’unico ritrovo possibile per stare con gli amici.

Cosa fare? Proibire le bische, i video poker, le pubblicità ai giochi d’azzardo?

Forse, più che limitare ciò che ormai, nonostante la normativa, diventa un ambito nel quale anche lo Stato ha i suoi guadagni, occorrerebbe proporre un pensiero, una cultura diversa, attraverso attività concrete che restituiscano ai giovani tutte le infinite possibilità che meritano. Trasformare i “ghetti” fisici e mentali che abbiamo costruito per loro, in spazi aperti alla sperimentazione, alla cultura e al pensiero dei giovani che, non dimentichiamolo, è molto diverso dal pensiero degli adulti.

E’ Tempo

9r

E’ chiaro
Che il pensiero dà fastidio
Anche se chi pensa
E’ muto come un pesce
Anzi un pesce
E come pesce è difficile da bloccare
Perché lo protegge il mare
Com’è profondo il mare 

Lucio Dalla-Com’è profondo il mare

AGAVE AL POLITICAMP DI LIVORNO – 11/13 LUGLIO 2014

Nella scena quarta del capolavoro di Brecht, Vita di Galileo, il grande scienziato è intenzionato a mostrare le scoperte, da lui effettuate grazie al suo “occhiale”, ad alcuni dottori universitari tra cui un filosofo.
Invita, dunque, i suoi ospiti a poggiare gli occhi sulla lente del telescopio per rendersi conto da sé dei movimenti celesti ma il filosofo, invece di guardare, pone una domanda: possono quei pianeti realmente esistere?
Per dirla meglio: chi può garantire che, anche se visibili agli occhi, quei pianeti realmente esistano? Con quale autorità, Galileo pronuncia tali affermazioni?
“La verità è figlia del tempo e non dell’autorità.” ribatte lo scienziato ma, risponde il filosofo con veemenza ed estrema preoccupazione, ” Signor Galilei, la verità può portarci chissà dove”.
Nessuno, quel giorno, guarderà il cielo attraverso il telescopio.
Il sipario non cala ma è come si chiudesse, inesorabile.
Queste pagine sono tornate alla mente ascoltando il discorso di apertura del Politicamp 2014 di Ilaria Bonaccorsi, già direttore della rivista Left e candidata alle ultime elezioni europee con il PD, che abbiamo avuto modo di incontrare assieme all’onorevole Giuseppe Civati nel maggio di quest’anno.
“C’è un tempo in cui non c’è più un prima, c’è il dopo. Compare quello che prima non c’era: la possibilità si realizza. Questo è il nostro tempo di creare la politica in un altro modo.”, ha detto Ilaria Bonaccorsi e, ha aggiunto citando lo storico e filologo Luciano Canfora, “l’unica cosa da non fare è di evitare di non vedere”.
Così la memoria è andata a un altro capolavoro, Cecità di Josè Saramago, in cui viene raccontata un’improvvisa epidemia di origine misteriosa a seguito della quale tutti gli abitanti di una città, ad eccezione di una donna, perdono la vista e in un crescendo di follia (molti sono simbolicamente rinchiusi in un ex manicomio), invece che trovare un modo per superare insieme quella drammatica situazione, si contrappongono gli uni agli altri fino ad approfittare gli uni degli altri, tra incredibili soprusi e violenze.
“Secondo me non siamo diventati ciechi, secondo me lo siamo, ciechi che vedono, ciechi che, pur vedendo, non vedono” dice la donna che non ha mai perso la vista.
Dunque?
Dunque c’è assoluto bisogno di affermare un pensare e un pensiero che non sia sottomesso al pensiero dominante: un pensiero forte, complesso, che non tenda ad escludere ma che integri, che coinvolga, che si propaghi come un virus inarrestabile, che conquisti sempre maggior spazio  nelle menti giovani di qualsiasi età,  che elabori, che si confronti, che partecipi, che scenda in piazza non perché gli è stato imposto da questa o quella fazione ma perché ne provi esigenza e desiderio.

Un pensiero di libertà: “una libertà umana”, citando sempre Ilaria Bonaccorsi.

Partendo, aggiungiamo noi, da una diversa qualità dei rapporti interumani.
Perché questo avvenga, bisogna svestirsi dei panni del filosofo di Galileo e di quelli di Tancredi, che ne Il Gattopardo come noto sentenzia “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
Siamo alla ricerca della dimensione opposta: se non vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna trasformare tutto, a partire da noi stessi.
Una rivoluzione del pensiero, dunque, anzitutto personale, che potrà diventare collettiva solo se la coscienza  di essere ed esserci sarà accompagnata dall’idea di un futuro migliore per tutti noi.
Ed è tempo di cominciare.
Per questo, a Livorno eravamo presenti anche noi.
Per chiedere di realizzare, anche con la nostra partecipazione,  un progetto più ampio, capace di coinvolgere tutti gli attori, associativi e istituzionali, che si occupano di giovani e adolescenti: un coordinamento nazionale che sappia comprendere, interpretare e dare una risposta concreta alle tante domande che ci rivolgono minori immigrati, studenti, giovani inoccupati e, in senso più ampio, tutte le ragazze e i ragazzi che si cimentano per la prima volta con le difficoltà della vita.

Perché quelle difficoltà si traducano in possibilità.

Per loro, per noi e per la società di domani.

 

Il suicidio della sedicenne di Forlì: colpevoli o complici?

LateAncora. Un altro suicidio, l’ennesimo. Una ragazza di 16 anni di Forlì che prende un autobus, arriva a scuola, sale sul tetto attraverso una botola e si lancia nel vuoto. La notizia da sola basterebbe a togliere il fiato ma c’è anche di più: i genitori sono iscritti nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di maltrattamenti in famiglia e istigazione al suicidio. Questo perché, la minorenne ha lasciato messaggi, post-it, lettere , video nei quali raccontava di un’estrema difficoltà nei rapporti con i genitori che, da quanto si legge sulla stampa, sembra fossero stati già avvisati numerose volte, da parte della minore, della sua intenzione di suicidarsi. Ma non basta. La cronaca riporta di professori che, nel leggere i temi scritti dalla giovane, avrebbero intuito il suo profondo disagio, di una madre di una compagna di classe che aveva percepito che la ragazza non stava bene. La stessa mamma ha parlato durante una fiaccolata chiedendo perdono per questo mondo malato e folle di adulti indifferenti. Come dire, siamo tutti colpevoli. Ma è giusto? Forse sì. Complici, nel migliore dei casi. Davanti a chi si cimenta nello scoprire la vita, la nostra inerzia gliela rende insopportabile. Il nostro non-fare, non rispondere con fantasia, non proporre un’immagine di futuro: quelle porte chiuse cui mani delicate bussano senza che nessuno apra perché il dolore non entri, resti nell’altrove indefinito che è il “là fuori”. Le lettere, i messaggi, le accuse di questa ragazza non sono solo per i genitori ma per tutti, nessuno escluso. Qualcuno ha scritto che l’adolescenza è una lotta con la morte: questa visione, orribile e falsa, ricorda le parole di Sartre che, ne L’età della ragione, diceva che “esistere è bersi senza sete”. Se fosse così, non ci sarebbe via d’uscita: le nostre vite sarebbero investimenti a perdere e nulla varrebbe la pena. Un pessimismo che cela il più mostruoso vocabolo che la nostra lingua conosca: indifferenza. Soffrire per una ragazza che decide di porre fine alla sua vita ma poi lasciare agli altri (solo agli altri) il compito di fare di più e meglio per sé stesso e per tutti. Chiamarsi fuori da quel che è accaduto, sentirsi innocenti ma tanto dispiaciuti, è come aleggiare nella mediocrità: ci si crede diversi, mentre si è solo più poveri. Forse sarebbe bastata una parola, quel giorno, ad interrompere il tragitto di quella giovane donna verso la propria morte. Ma non c’è stato nessuno che l’ha pronunciata. Nessuno. Neanche noi.

Il Gran Kan dice- Tutto è inutile, se l’ultimo approdo non può essere che la città infernale, ed è là in fondo che, in una spirale sempre più stretta, ci risucchia la corrente.
E Polo- L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abbiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.
(I. Calvino, Le città Invisibili)

Pane e coraggio

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“Nina ci vogliono scarpe buone/ e gambe belle Lucia/ Nina ci vogliono scarpe buone/pane e fortuna e così sia/ ma soprattutto ci vuole coraggio/a trascinare le nostre suole/da una terra che ci odia/ad un’altra che non ci vuole”. Così cantava Ivano Fossati nella sua bellissima Pane e Coraggio e le sue note potrebbero essere la dolorosa colonna sonora di quanto sta accadendo in questi giorni. Per dirla meglio: di quanto accaduto in questi anni e ancora continua ad accadere. Migliaia di persone in fuga dal nulla verso il niente, con nel cuore la disperazione che potrebbe provare un innocente condannato al carcere a vita: il più delle volte, condannato a morte. Ma se per gli adulti il rischio di attraversare le onde del “buio mare” è una decisione terribilmente consapevole , c’è da chiedersi: cosa può provare un bambino o un adolescente di fronte a quest’Odissea? Quali possono essere i pensieri di chi, giovanissimo, viene messo su un barcone, stipato con altre decine e decine di esseri umani, magari allontanato dalla famiglia stessa nella speranza di un futuro migliore, con la certezza di non vedere più i propri genitori, i parenti, gli amici? Cosa possono fantasticare i bambini trascinati sui flutti da un legno che scricchiola ogni istante, quando con gli occhi scuri cercano la luce della luna e delle stelle mentre accanto a loro non c’è, non c’è più, non ci sarà più, chi può abbracciarli e tenerli stretti finché non si addormentano? Chi asciuga le loro lacrime dicendogli che andrà tutto bene, quando lo scafo si rovescia e la luna sparisce? Perché non si parla di tutto questo? Quella che viene chiamata immigrazione, somiglia ad una vera e propria deportazione imposta dal tentativo di sopravvivere: non è vero che è una scelta, non c’è scelta. Si può solo salire sul barcone per cercare di avere un’esistenza (una vita sembra ancora troppo) dignitosa. “Ecco, ci siamo, ma ci sentite da lì?” il verso è sempre di una canzone di Fossati, si chiama Italiani d’Argentina e ricorda l’emigrazione dalla “distanza atlantica” dei primi del novecento: quella italiana appunto. Ma “la memoria è cattiva e vicina” e non è una storia da ricordare o da cantare. Perché non è storia da grandi imprese o di conquista, non c’è un eroe e, soprattutto, non c’è lieto fine. Ancora oggi non c’è lieto fine. Neanche per chi sopravvive. Ma questo, un bambino non lo sa.

Il treno degli emigranti (Gianni Rodari)


Non è grossa, non è pesante

la valigia dell’emigrante…

C’è un po’ di terra del mio villaggio,
per non restar solo in viaggio…
un vestito, un pane, un frutto 
e questo è tutto.
Ma il cuore no, non l’ho portato:
nella valigia non c’è entrato.
Troppa pena aveva a partire,
oltre il mare non vuole venire.
Lui resta, fedele come un cane.
nella terra che non mi dà pane:
un piccolo campo, proprio lassù…

Ma il treno corre: non si vede più.

Una vita viva

autismo-18-300x223Un ragazzo di quindici anni si è suicidato a Roma, nel quartiere Pisana. Il ragazzo dopo una discussione con la propria fidanzatina, le ha mandato un sms dicendole che l’avrebbe fatta finita, ha salutato i genitori come se uscisse e si è lanciato nel vuoto mentre la ragazza correva a casa sua nel tentativo disperato di provare a fermarlo. 

Il giorno prima, un’altra giovane donna di sedici anni ha tentato il suicidio nella zona della Magliana. Dopo una lite con i genitori, si è chiusa nella sua stanza, ha aperto la finestra ed è saltata giù cercando di togliersi la vita, per fortuna senza riuscirci. Ora è in ospedale, dovrà essere operata, ma è fuori pericolo.

 

Una vita viva

Un suicidio. E un tentato suicidio.
Due giovani, 15 anni lui e 16 lei. Due quartieri diversi di Roma, due storie differenti accomunate da un gesto simile.
Di loro ignoriamo tutto. Non ne conosciamo i pensieri, le immagini, i sogni.
Non sappiamo nulla dei rapporti con i loro amici, con i propri familiari, con gli insegnanti.
Nulla.
È difficile comprendere.
Abbiamo, tuttavia, una certezza: quel salto nel vuoto non è, come alcuni articoli della stampa riportano, un gesto d’impeto, non origina in una discussione con la propria innamorata o in una semplice discussione in famiglia.
Ipotesi di tal fatta, se da una parte spaventano, dall’altra rassicurano perché negano.
Negano che esista un disagio che, talvolta già in giovane età, può aggravarsi.
Confrontarsi con questa realtà è doloroso ma va assolutamente fatto.
Intendiamoci: non stiamo certo sostenendo che ogni adolescente è a rischio.
Alcuni atteggiamenti (che conosciamo tutti, perché tutti siamo stati adolescenti anche se, per dirla con Saint-Exupery, pochi se ne ricordano) sono semplici folate di vento, che spettinano capelli e pensieri.
Ma, al contempo, non possiamo più accettare la banalizzazione in base alla quale un atto come quello di cui stiamo parlando si leghi a una litigata con la propria ragazza o coi genitori e venga etichettato come “inspiegabile” perché in precedenza non ci siano stati altri tentativi di suicidio.
Non è così.
Dobbiamo avere il coraggio di dire che il togliersi la vita o il cercare di farlo, non arriva mai come un imprevedibile passaggio di una nuvola: è l’apice di uno star male profondo e pregresso che, se preso per tempo, può essere curato.
Perché ci si possa così riappropriare di una vita viva.
Permetteteci allora il lusso di due speranze.
Speriamo che la sedicenne che si è salvata da quel terribile salto intraprenda un percorso terapeutico: perché per quanto possa essere lungo, difficile e faticoso, sarà la possibilità di un futuro che solo ieri non c’era più.
E speriamo che quella giovane donna, che è corsa a perdifiato verso la casa del proprio innamorato, comprenda che non era davvero nelle sue possibilità salvarlo da ciò che quel povero ragazzo provava dentro e che lo ha condotto ad un gesto così disperato. Nonostante questo ha tentato: solo così, il peso che oggi ha nel cuore potrà col tempo alleggerirsi.

E’ a loro due che dedichiamo questa poesia di Robert Frost.

LA STRADA CHE NON PRESI
Due strade divergevano in un bosco giallo 
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe 
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo 
a guardarne una fino a che potei.
Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
 e aveva forse l’aspetto migliore, 
perché era erbosa e meno consumata,
 sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali, 
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
 Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro 
da qualche parte tra anni e anni:
 due strade divergevano in un bosco, e io -
io presi la meno percorsa, 
e quello ha fatto tutta la differenza.
Robert Frost

 

 

 

 

 

 

 

 

L’EUROPA, I GIOVANI E I DIRITTI CIVILI

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La nostra associazione, il prossimo martedì 20 maggio alle ore 18.30 presso la sala convegni in via dei Cerchi 75, ha organizzato un incontro con Ilaria Bonaccorsi, storica e giornalista candidata alle elezioni europee per il PD, e Pippo Civati, deputato PD.

Questi i principali temi che saranno oggetto del dibattito:

– Scuola e formazione

– Lavoro giovanile

– Minori e immigrazione

– Tutela di giovani e adolescenti

– Diritto alla salute

– Tutela dei diritti civili

STORIA DELL’ARTE PRATICAMENTE CANCELLATA. E I GIOVANI CHE SAPRANNO E FARANNO DEL NOSTRO PATRIMONIO D’ARTE?

Storia dell'arte nelle scuole

Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo contributo di Giancarlo Guarnieri (artista e storico dell’arte)

Cancellate Disegno e Storia dell’arte dei bienni e Disegno nei trienni dei licei delle scienze umane e linguistici, mentre in quello sportivo le materie sono assenti del tutto. Colpiti anche gli istituti tecnici dove la disciplina aveva un ruolo centrale, come nel Turistico. Così nei professionali: cancellate da corsi come Alberghiero-Turistico, Grafica e comunicazione e Tecnico dell’immagine fotografica; via le sei ore per l’indirizzo Moda. Aboliti del tutto gli istituti d’arte; i geometri, che hanno così tanto peso nel destino del territorio italiano non hanno mai avuto occasione di studiarla anche prima della cosiddetta riforma. Ed i giovani, che oltre a perdere la possibilità di usare per diversi tipi di lavoro,professioni, attività, l’enorme patrimonio di bellezza ed arte; come potranno migliorarsi, vivere bene o sperare senza l’apporto vitale e forte delle belle arti?

Adolescenza, un’emergenza sociale

Riportiamo qui sotto una lettera che ci ha molto colpito, tratta dal blog del Fatto Quotidiano “Parola di Prof”, un grido d’aiuto di un preside che pur rendendosi conto della situazione di crisi profonda in cui si trovano molti dei suoi studenti e pur volendo intervenire, si trova davanti ad un muro di indifferenza.

 

Scuola, i ragazzi e la morte per scherzo

 

Antonio fa il preside, e non sa più dove sbattere la testa. Vede ogni anno i ragazzi arrivare e uscire dal suo liceo scientifico, con la differenza che quelli di prima superiore fanno ciò che una volta facevano in quinta: fumano, bevono, rollano canne, si esibiscono in prodezze sessuali e poi franano nell’incertezza, a volte nella depressione. Antonio vede e non sa che fare, perché i ragazzi non credono alla sua preoccupazione, e i genitori guardano per terra quando lui tenta di scuoterli.

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Gentile redazione,

io ho una domanda da fare a voi perché non so più a chi farla: cos’altro deve succedere per capire tutti quanti che l’adolescenza è diventata un’emergenza sociale?

A Roma un ragazzo svizzero è stato accoltellato in gita, ed è morto. Un altro, di Catania, s’è buttato giù dal parapetto di una nave ferma in porto a Barcellona: uno scherzo, un bicchiere di birra di troppo, ormai si muore così. E non sono eccezioni, stranezze. Oggi è normale per i miei studenti vomitare in classe perché hanno fatto baldoria di notte: sigarette, canne, alcol. Le ragazzine parlano di sesso come di caramelle: ho fatto quello, proverei quall’altro, l’importante è non restare fregata e poi comunque abortisco e i miei sono d’accordo, sai quanto me ne frega.

Gli insegnanti sono stremati. Insistono con le funzioni di terzo grado e Omero, Cartesio e Leopardi. Arrivano anche a Pollock e Pasolini, s’industriano nell’aula di informatica e portano i ragazzi alla giornata contro le mafie, per l’ambiente pulito e i diritti delle donne in Pakistan. Cosa resta nei cuori? Poco e niente. Sui cellulari gli argomenti sono comunque la festa di sabato, la dose per lo sballo, le corna di Tizio con Tizia. Argomenti che una volta si tenevano a bada all’ultimo anno, e che adesso spuntano già tra i ragazzetti più piccoli: quando ci parlo, dopo la prima ramanzina dei prof, mi guardano senza paura, né interesse. Perfino i genitori, convocati, minimizzano. Semmai guardano per terra, controllano l’ora sul telefonino, promettono di impegnarsi e in realtà spariscono. Non li vedo fino alla convocazione successiva, fino alla maturità che butta fuori un altro ragazzo incerto, confuso, depresso, per lasciare il posto a qualcuno probabilmente più fragile di lui.

Sono stanco, sicuramente avrò sbagliato molte cose, non so come aiutare i ragazzi.

Antonio

 

Fonte:

Blog “Parola di Prof” ; Il Fatto Quotidiao

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/04/13/scuola-i-ragazzi-e-la-morte-per-scherzo/949648/

Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2010-2011

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Venerdì 28 marzo 2014

La Relazione sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia 2010-2011, appena uscita, sviluppa i temi al centro dell’attenzione dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza e del Piano nazionale d’azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. (http://www.minori.it/minori/relazione-sulla-condizione-dellinfanzia-e-delladolescenza-in-italia-2010-2011)

È la legge 23 dicembre 1997 n. 451 a prevedere l’elaborazione con cadenza biennale del documento, che viene predisposto dall’Osservatorio con il supporto tecnico scientifico del Centro nazionale.

La Relazione, si spiega nella premessa, «non è una rassegna completa ed esaustiva di tutti i complessi aspetti della condizione dei cittadini di età minore, ma «offre alcune riflessioni su quelle che si pongono come questioni aperte, proponendo, ove possibile, ipotesi di lavoro per superare le principali difficoltà». Riflessioni che «danno centralità al soggetto bambino, descritto nei suoi processi di crescita, nei suoi luoghi di esperienza, in quanto cittadino destinatario di politiche e programmi di intervento e soggetto esposto a differenti vulnerabilità nelle condizioni di vita».

La Relazione precedente aveva dato conto dei lavori scaturiti in sede di Osservatorio nel quadro delle attività per la stesura del Terzo Piano di azione. Questa edizione, invece, «torna a centrare l’attenzione sulla fenomenologia della vita di bambini e adolescenti attraverso un percorso multitematico che ha visto il contributo di numerosi esperti del settore».

Il volume è articolato in tre parti. La prima offre un quadro generale sulla condizione dei bambini e degli adolescenti attraverso l’analisi degli indicatori di contesto e di benessere che è possibile derivare dalle statistiche disponibili. Il contributo è arricchito da alcuni focus tematici dedicati ai processi demografici in corso, alla salute e all’istruzione.

La seconda parte contiene un aggiornamento del quadro normativo e di indirizzo a livello nazionale e regionale. I focus di questa seconda parte si concentrano sui seguenti temi: L’organizzazione regionale nella materia sanitaria e sociosanitaria; Le leggi regionali sull’accoglienza dei bambini fuori famiglia: affidamento e adozione; Linee di indirizzo regionali per disciplinare l’affidamento familiare e i momenti delicati e importanti nella vita delle famiglie affidatarie; Il sostegno alle responsabilità genitoriali e al reddito; Il processo di attuazione della legge sul Garante dell’infanzia, anche con riferimento alle relazioni con le figure di Garante regionale.

La terza parte, infine, riporta alcuni approfondimenti su temi di grande attualità. Il primo propone un’analisi dei principali risultati di una ricerca nazionale sulla partecipazione dei preadolescenti e e degli adolescenti alla vita familiare, scolastica, associativa e sociale nei loro contesti di vita quotidiana e si sofferma sulle esperienze di ascolto di bambini e adolescenti. Il secondo approfondimento esplora il rapporto tra generazioni e la trasmissione dei valori nel contesto familiare e sociale, mentre quello successivo è dedicato al tema dei minori stranieri non accompagnati.

Gli approfondimenti che seguono trattano altri temi centrali: la povertà minorile, le adozioni nazionali, la prima infanzia, la programmazione regionale delle politiche per i bambini e gli adolescenti. (bg) 

Fonte: Centro Nazionale di Documentazione e Analisi per l’Infanzia e l’Adoloscenza – http://www.minori.it

Relazione: http://www.minori.it/sites/default/files/relazione_biennale_condizione_infanzia_adolescenza.pdf

Alcol, una sfida ma non da eroi

 

IL COMMENTO

di VIVIANA PONCHIA

ALCOL, UNA SFIDA MA NON DA EROI

 

QUEL GIORNO la preoccupazione era: va in gita in montagna con la scuola, nevica e vuole mettersi le scarpe da ginnastica. Ma sì, bagnati e impara la lezione. Paranoie da madre fortunata, capricci da privilegiato. Nessun altro pericolo in vista, asteroide e autista kamikaze solo ipotesi remote nel suo mondo di buone letture, amicizie trasparenti e bambagia. La legnata arriva da Face book inaspettata come l’investigatore che consegnale prove del tradimento. C’è lui, la faccia bionda e innocente. Sorride nel video sotto la neve, chissà che freddo ai piedi. Però

che romantici questi ragazzi che si filmano nella bufera. Pronuncia la frase di rito: «Ringrazio Tizio perla nomination e nomino a mia volta

Caio. . . ». In mano ha una bottiglia, non è aranciata. Ricordi quel modo particolare di portare alla bocca il biberon, il gesto di pura necessità biologica. Ma sono le dieci del mattino, è birra scura. Il minorenne la

tracanna in un flato, si guarda attorno soddisfatto. Sapevi della Neknomination, l’ultima follia degli adolescenti, la gara a chi beve di

più e in più in fretta. L’avevi derubricata ad allarme per quattro deficienti autolesionisti, la piccola minoranza scema così distante dalla sua maggioranza assennata, includendo il giudizio implicito sulla miopia delle famiglie che non intercettano lo sguardo annegato nel brandy. E tu invece dove eri? Che cosa hai visto nei suoi occhi prima di spiare in un social network?

LO INCHIODI alle decine di «mi piace» che celebrano la sua impresa, cerchi di spaventarlo con racconti sul coma etilico. Sobrietà significa libertà. Vi credete ganzi e siete ridicoli. E come no. La vera preoccupazione diventa il, fatto che non ha l’aria colpevole. Ila messo tutto alla luce del sole. E f fiero di avere superato la sfida. Dal liceo classico Minghetti di Bologna all’Alfieri di Torino si formano task force di genitori inconsapevoli e spaventati. Abbiamo sottovalutato la pubblicità dell’amaro? Favorito l’offerta di rischio? Di sicuro il concetto di eroe non l’abbiamo spiegato bene.

 

QUOTIDIANO NAZIONALE 19-03-2014